Oramai dovrebbe essere noto a tuttu: lo Stato di questo paese sta torturando ogni giorno, nelle sue prigioni, 749 persone, privandole, più o meno in salute, più o meno anziane, di vedere il cielo, sfiorare le mani delle persone care, vedere foto, leggere libri o scrivere delle lettere.
È grazie allo sciopero della fame di Alfredo Cospito, che da oltre 100 giorni resiste per portare avanti la sua lotta, che il velo è stato squarciato.
Ora non possiamo più far finta di nulla.
Né possiamo ancora raccontarci la favoletta giustificatoria del carcere duro – dove lo Stato dimostra un disprezzo su quelle vite (compresa quella di Alfredo) che vorrebbe “rieducare”.
A noi non interessa fare delle distinzioni sul caso di Alfredo tipo “non ha mai ucciso nessunx“, “non è inserito in organizzazioni criminali“ “non ha compiuto nessuna strage” e via dicendo.
Chi svolge queste distinzioni o, per meglio dire, degli atti che confondano i piani e nascondano delle inadempienze sistemiche sono le istituzioni (tribunali, parlamenti, carceri, scuole, forze armate e dell’ordine) che, quotidianamente:
-sostengono chi merita di essere protettu o meno – accusando le persone sopravvissute di aver cercato lo stupro perché portavano una minigonna o erano disinibite;
-usano la morte delle nostre sorelle per fomentare razzismo e xenofobia;
-incarcerano e mettono al pubblico ludibrio le persone (specie se non sono eterosessuali e non binary) che esercitano il lavoro sessuale;
-stigmatizzano, nonostante parlino di “inclusione”, le persone trans binary e non;
-espongono le persone sopravvissute alla violenza eterosessista senza che le forze dell’ordine facciano nulla per proteggerle da stalker, stupratori e famiglie composte da genitori omofobi e/o partner abusatori
L’abbiamo imparato sulla nostra pelle che l’autodifesa è un nostro compito e non possiamo delegarla a nessunx: dobbiamo sostenerci a vicenda quando la nostra vita è messa in pericolo.
Supportare Alfredo significa sostenere una persona che attualmente è in una struttura punitiva atta a disumizzare l’individuo, privandolo del sole, della carezza del vento, della possibilià di ascoltare parole e di farsi ascoltare, del calore umano.
Noi vogliamo che nessunu possa più morire in carcere: né perché non ce la fa più e si suicida, né perché prova l’ultima strada dello sciopero della fame.
Il carcere speciale è tortura, deprivazione sensoriale, annientamento, vendetta e terrorismo di Stato. In una condizione del genere, la persona diventa alienata e perennemente allucinata.
Le proteste che si stanno susseguendo in questi giorni non sono il terrorismo e/o il fantasioso “supporto alle organizzazioni criminali/asse anarchici e mafiosi” di cui stanno parlando i giornali e dietro il quale si stanno nascondendo il ministero della giustizia e i parlamentari di maggioranza.
Chi si sta mobilitando non ha ferito nessunu; alla peggio ha imbrattato qualche muro, rotto qualche cosa, espresso il proprio chiaro dissenso davanti a chi avrebbe il potere di far finire questa ignominia.
Le mobilitazioni di questi giorni sono l’esercizio del diritto di difendersi – come i moti di Stonewall nel 1969.
È quanto resta da fare quando tutte le istituzioni pubbliche hanno decretato il disprezzo per la vita umana e quella che rappresenta, ovvero l’ideale incarnato di una società libera e giusta, priva di ineguaglianze, di guerre, di ecocidi.
Sostenere Alfredo significa andare oltre questa cortina di fumo e fuffa istituzionale.
Non possiamo lasciare che egli muoia.
Non possiamo lasciare che la sua lotta muoia.
Lo dobbiamo a noi stessu.
“Penso all’assurdità [del] carcere che vorrebbe cambiare le nostre idee, imponendoci di passare e sprecare il nostro tempo, ma io resto sempre contrario alle loro idee. Perché io mi sento nel giusto e anche le mie idee non é giusto che vengano incarcerate. Il mio consiglio é sempre di non sottomettersi alla loro mentalità, e se uno ha un’idea, di non abbandonarla ma cercare di portarla sempre più avanti.” (Michele De Sabato, “Se i giorni erano muri”)