Il grande assente al pride di Catania

A due settimane dal Pride cittadino, ci sentiamo di voler proporre una lettura critica e dissonante rispetto alle fonti ufficiali. Libera Assemblea Degenere è nata l’anno scorso, con lo scopo di creare uno spazio sicuro per quelle soggettività non conformi che sentivano il bisogno di avere un momento di ascolto e confronto, oltreché di cura, autodifesa e liberazione. Quest’anno, abbiamo deciso di prendere parte al corteo del Pride, con la speranza che, dopo due anni di stato d’emergenza (per la pandemia prima e per la guerra poi), la comunità avrebbe risposto in modo deciso alla sempre più crescente oppressione dei corpi e delle identità “divergenti”, nonché al preoccupante fascismo tornato di moda e mascherato (neanche troppo) dalle destre di questo paese e nel mondo. Purtroppo, l’assenza di un filo conduttore transfemminista ha fatto sì che molte voci rimanessero inascoltate. Vanno benissimo le istanze per le famiglie e per l’uguaglianza dei diritti, ma sembra che il tema centrale, ovvero la libertà, di esistere e di autodeterminarsi, con o senza il desiderio di genitorialità, passi troppo spesso in secondo piano. Non vogliamo soltanto la libertà di amare ma la liberazione da una società cis etero patriarcale, capitalista, razzista e più che mai misogina e transfobica. Non vogliamo far parte di un movimento che si faccia portavoce solo delle istanze di chi voglia conformarsi agli attuali modelli sociali, senza mettere in discussione i propri privilegi. La visione queer transfemminista vuole l’abbattimento del modello verticistico, in cui a subire sono sempre le stesse “categorie”. Non vogliamo sostituirci all’ordine precostituito ma proporre un modello diverso. Questa strada ce la può indicare il transfemminismo, senza questo ragionamento il movimento è un vuoto tentativo di sostituirsi alla piramide sociale attualmente esistente. Ci fa male constatare che sia al corteo, sia in città in generale, le istanze Lgbtq+ non vengano spesso portate avanti seguendo questo ragionamento. Ci fa male perché, più che mai, sembriamo dimenticarci a chi obbiamo guardare con gratitudine: donne. Donne trans, nere, ispaniche. Donne che hanno combattuto prima di noi e ci hanno aperto la strada, una strada che non siamo attualmente capaci di trasformare in lotta. Proprio per la mancanza del grande assente, il transfemminismo, le forze dell’ordine si sono sentite in diritto di intimare a unə nostrə compagnə di coprirsi, di non girare a petto scoperto. Ci dicono come protestare! Infangando il motivo per cui le donne dello Stonewall Inn diedero inizio alla rivolta, in prima battuta. Chiaramente, si sentono incoraggiati da un movimento, ormai imborghesito, che chiede il permesso per esistere. E lo diciamo con amarezza, perché a subire le sconfitte, a non trovare lavoro, a subire molestie e violenze, ad avere le piazze sotto tono rispetto ad altri anni, siamo noi. Vogliamo una città a misura di tutte le soggettività marginalizzate e discriminate, non una città vetrina in salsa arcobaleno. Vogliamo porre fine alla continua oggettivazione sessuale dei corpi queer. Vogliamo che la voce delle nostre compagne lesbiche non finisca inascoltata. Vogliamo che le relazioni non conformi non vengano etichettate come relazioni di serie B.
Forse a furia di tutti gli “andrà tutto bene” abbiamo iniziato a crederci persino noi, ma la verità è che purtroppo non andrà tutto bene finchè Catania, e non solo, saranno posti sicuri per tutte le individualità ribelli, per tutte le donne a qualunque ora della giornata e in qualunque quartiere e fin quando non si libererà realmente della sua omofobia e della violenza contro le donne e i corpi queer!
Il pride sarà transfemminista o non sarà!